Fotografare per aggettivi
La strada per lo Stile di Vista passa attraverso gli aggettivi.
Giugno 2023

Composizione interessante, cromatismo equilibrato, bellezza formale, tematica universale… ne vogliamo scrivere altri?
Chiunque abbia la “sana” abitudine del confronto partecipando agli innumerevoli concorsi fotografici distribuiti del tempo e nello spazio, avrà sicuramente letto frasi di questo tipo nelle motivazioni delle varie giurie.
Si prende una foto, si osserva, e se la giuria decide di premiarla, inizia l’esercizio di scrittura creativa necessario a motivare (giustificare?) il premio.
Questo accade ogni volta che osserviamo una foto, anche quando non facciamo parte di una giuria, la differenza con i giurati è che le nostre non sempre sono valutazioni creative, al contrario il più delle volte, “bella” o “brutta”, è il massimo che riusciamo ad esprimere, niente pù che un aggettivo.
Ansel Adams diceva che in una foto ci sono sempre due persone, chi la scatta e chi la guarda.
Se chi la guarda esprime un aggettivo per dare una sua valutazione, in che modo un aggettivo può essere utile a chi la scatta?
Vorrei precisare che quanto segue non vuol essere una lezione sulla capacità, o meglio, sulle tecniche di osservazione, in primo luogo perchè questa non è l’unica né la più importante tra quelle che utilizzo, poi perchè non tutti i generi fotografici si prestano a questo metodo, penso ad esempio al reportage.
E’ solo la testimonianza di uno dei miei metodi di analisi della scena che voglio fotografare,
Fotografare per aggettivi è un approccio che aiuta a predere coscienza del rapporto che si instaura tra chi fotografa e ciò che vuole fotografare.
E’ molto semplice da fare, si attribuisce un aggettivo o anche un sostantivo, a quello che abbiamo davanti e si prova a fotografarlo cercando di rappresentare quell’aggettivo o sostantivo, ovviamente evitando i banalissimi “bello” o “brutto”.
Come dicevo, è molto semplice da fare, è invece difficile, molto, è riuscirci. Tuttavia, il risultato finale è anche la cosa meno importante quando si approccia a questo metodo.
Attribuire un aggettivo/sostantivo alla scena, prima ancora di trasformarsi in un veicolo per la rappresentazione in foto, è un’analisi introspettiva tra il fotografo e quello che ha davanti.
Lo scopo è cambiare il modo di porsi davanti ad alla foto che stiamo per realizzare, è già questo un risultato, non è importante come verrà la foto ma il fatto di non scattare più sull’onda di una spinta istintiva che, troppo spesso, non ci permette di fare un’analisi di quanto stiamo per fotografare.
Non è più uno scatto in cui curiamo esposizione e composizione ma qualcosa di profondamente ragionato: la scena mi trasmette l’aggettivo “luminosa”? Bene, come posso fotografarla in modo che chi la osserverà possa pensare allo stesso aggettivo?
Pensa di dover raccontare, in una foto, sensazioni come tristezza, gioia, solitudine ma anche velocità o movimento, come nelle foto di Ernest Hass, presenti a fondo pagina
Per riuscirci devi prima renderti conto che ciò che hai davanti ti sta suscitando una emozione.
La cosa più incredibile, lo dico per esperienza diretta, è che più ti avvicini al risultato, più scoprirai di avere un tuo linguaggio espressivo, un tuo Stile di Vista che, forse, nemmeno sapevi di avere.
Il motivo è proprio nell’attribuzione dell’aggettivo, nasce dalla sensazione che stiamo provando davanti alla foto da fare, questa sensazione deriva inevitabilmente dalla nostra personalità.
A questo punto potremmo parlare di un altro tema molto importante, il transfer che si crea tra fotografo e scena ma credo sia un argomento troppo esteso. Meglio farlo in un altro articolo.




Le due foto sopra sono state realizzate da Ernest Hass. Tutte le altre appartengono alla collezione Off.
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e quando succede, nasce da una necessità… quasi un’urgenza