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Chi scatta e chi guarda

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La guerra dei testi. Tra titolo, didascalia, descrizioni e silenzi.

Maggio 2023

Titolo si o titolo no? E la didascalia? La descrizione?

Non saprei contare le volte in cui mi sono trovato davanti a dibattiti di questo tipo.
I social in particolare, sono una vera e propria fabbrica di opinioni e del loro contrario.

Iniziamo con il dire che, secondo me, nessuna delle due opinioni è una verità assoluta.
La Fotografia non è una unica ed indivisibile ma, soprattutto, come diceva Ansel Adams, “in una fotografia ci sono sempre due persone, chi la fa e chi la guarda”. A dirla tutta diceva anche che “se la devi spiegare non è venuta bene” ma on tutte le ciambelle escono con il buco.

Ho sempre pensato che i fotografi, con il dovuto rispetto, siano un po’ come i medici: divisi in specializzazioni.
Se mi fa male un dente vado dal dentista e non dal cardiologo, se ho problemi di udito vado dall’otorino e non dall’ortopedico. C’è poi il medico generico, quello di famiglia che ci segue e, quando serve, ci fa le prescrizioni per la visita specialistica.
Ecco, considerate le dovute e rare eccezioni, chi crede che il “fotografo” possa fare tutto quello che esiste in fotografia o non conosce la Fotografia nel suo complesso mondo operativo, o è un “fotografo generico”, con la differenza che il “fotografo generico” non prescrive appuntamenti presso gli specialisti.

Naturalmente la mia è una provocazione ma abbastanza fondata.
Personalmente, ad esempio, non ho mai fatto fotografia di matrimonio, se non per pochi amici, semplicemente perchè non è il mio settore e non mi è mai interessato approfondirlo.

Dunque per tornare alle cose serie, l’opportunità del testo in una foto, che sia didascalia, descrizione o semplice titolo, andrebbe affrontato in base al tipo di fotografia e alla sua destinazione.

La cronaca o il reportage più in generale, se destinati ai media, hanno sicuramente bisogno di un testo.
Se fotografo degli scontri di piazza e sullo sfondo ho la torre Eiffel, posso anche evitare di scrivere che ho fatto la foto a Parigi, sarebbe però opportuno mettere due righe sull’evento: chi si scontra con chi e perchè se ne danno di santa ragione. Insomma, che sia didascalia o testo di un articolo, in questi casi, la parola contestualizza e arricchisce la foto, dando a chi la osserva ulteriori strumenti di comprensione.
Potremmo dire la stessa cosa per la fotografia scientifica: un’arcata dentale in foto meriterebbe due righe che spiegano il motivo per cui è stata realizzata o cosa si vuole mostrare.

Il paesaggio, la fotografia di street, di cui tanto si parla e spesso a sproposito, il ritratto… sono generi che possono vivere senza testo, le foto dovrebbero “parlare da sole”, tanto per usare una frase inflazionata.
Però prendiamo ad esempio il ritratto, se il volto deve essere pubblicato su una rivista, il nome potrebbe aiutare chi ancora non lo conosce.
Anche per un paesaggio, la decisione di un testo può cambiare se è una foto da mostra o destinata ad una rivista.

Un discorso a parte meriterebbero coloro che accompagnano le foto con dei brani o delle poesie, nulla in contrario per carità, però mi fa pensare a chi non è convinto del proprio messaggio e cerca di arricchire la foto con contenuti scritti da altri, un po’ come un oratore che per dare valore ad un discorso “debole” ci mette in mezzo citazioni famose. Non me ne voglia chi lo fa, è solo un mio pensiero.

Troppo caos? Si è davvero un gran caos, a meno che non si smetta di creare schieramenti integralisti tra pro e contro, iniziando ad usare il buon senso, valutando cioè, di volta in volta, la destinazione della foto.
Se il testo serve lo metto, se non serve, non serve.

Dunque non c’è una regola unica per tutto e per tutti, però una soluzione potremmo trovarla nella seguente massima: “Ciò che non è utile è inutile e ciò che è inutile è dannoso”

Ma tornando ai paesaggi, ho fatto un accenno alle foto destinate ad una mostra fotografica, ecco, in questo caso l’integralista divento io: nessun testo, nemmeno il titolo! Però posso spiegare.

La prima volta che esposi la collezione “Pepperlife“, un amico, il giorno dell’inaugurazione, si avvicina e mi dice: “scusa, devo uscire, la differenza tra il tuo titolo e quello che ci vedo io mi sta mandando in ansia”.
Probabilmente una esagerazione ma la cosa mi fece riflettere molto.
In fondo il titolo è una interpretazione o un suggerimento dell’autore, va bene per chi osserva le foto in modo “passivo” senza cioè “dialogare” con loro. Accade però che la foto, una volta esposta o mostrata, si liberi dal “cordone ombelicale” che la lega a chi l’ha generata e inizi un suo dialogo con chi la osserva.
Perchè dunque forzare una libera interpretazione? Ritengo che questo, quando accade, sia il raggiungimento del mio scopo. La foto diventa viva e comunica da sola, proprio come un bambino che diventa adulto e autonomo.
Così da quella volta ho smesso di mettere i titoli direttamente sotto le foto, preparavo poi dei fogli che i visitatori potevano scegliere di prendere o no, su cui mettevo le foto con le informazioni relative a misure e titolo.
In una successiva mostra della stessa collezione (senza titoli), per approfondire quanto mi aveva manifestato il mio amico, durante i dieci giorni di esposizione e qualche migliaio visitatori, decisi di girare tutti i giorni tra il pubblico per ascoltare i loro commenti. Un’esperienza che mi ha aiutato a capire molte cose su chi va ad una mostra fotografica.
Devo ammettere che è stato uno degli esperimenti più formativi della mia carriera di fotografo e, questo, potrebbe aprire un altro discorso, quello della foto “spiegata” dall’autore (o dal critico), cosa ben diversa dal titolo che ne impone l’interpretazione. Ne parleremo però in un prossimo articolo.

Tornando al mio esperimento, alcune fotografie suscitavano interpretazioni diverse anche in base all’età e al sesso di chi le osservava.
Ne cito una a titolo di esempio e che pubblico sotto questo articolo, il titolo è KissMe: le interpretazioni andavano dalle labbra al divano, mentre molti bambini ci vedevano un panino.
Erano tutte corrette anche se distanti tra loro, semplicemente perchè libere, senza che ci fosse un titolo a condizionare la fantasia dei visitatori.

Le foto erano diventate adulte.

Le foto dell’articolo sono tratte dalla collezione Pepperlife.

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