Piacere di conoscerti

Sono nato tanti anni fa, quindi ti avviso, è una storia lunga. Decidi tu se andare avanti.
Ho iniziato a scattare fotografie nel 1976 ma non ero un fotografo, stavo finendo l’ultimo anno delle superiori.
Utilizzavo una piccola fotocamera compatta, di quelle che si caricavano con i rullini a cassetta.
Era bellissimo, inquadravi e scattavi, non dovevi pensare a nulla, a dire il vero non sapevo nemmeno dell’esistenza di diaframmi, tempi, composizione ecc.. Per me la fotografia era quella, facile e veloce, Trovavo però noiosi i risultati, così per cercare di ottenere qualcosa di meno scontato, scartavo le caramelle che avevano all’interno una seconda carta colorata trasparente e la mettevo con le dita davanti alla piccola lente della fotocamera.
Mi sembrava di essere un artista ma non avevo idea di cosa stessi facendo, era solo sperimentazione istintiva e priva di metodo.
Subito dopo il diploma inizio a lavorare nell’azienda di mio padre come muratore (in realtà lo facevo già durante le vacanze estive).
Questo mi permetteva di avere una discreta disponibilità economica, se paragonata a quella da studente, così, nel 1979, mentre continuavo a giocare con la fotocamera compatta ed i pezzetti di plastica trasparente, mi trovai a passeggiare, insieme a mia moglie, sposata nello stesso anno, lungo Via Nazionale a Roma.
Davanti alla vetrina di un negozio di fotografia fui folgorato da una strana cosa nera piena di numerini colorati, era una Nikon FM.
Entrammo e la comprai senza nemmeno pensarci un attimo, 525 mila lire (circa 260 Euro) con borsa e cavalletto.
Ora però devi sapere che non avevo idea di come si usasse, infatti, sembra assurdo, ma la comprai più come un oggetto che come una macchina fotografica, una specie di soprammobile.
All’inizio andavo dal fotografo che mi aveva fatto le foto al matrimonio a comprare i rullini, a dire il vero me li caricava lui, io non sapevo farlo e, tutte le domeniche (lavoravo anche il sabato), andavamo in giro a fare fotografie con risultati drammatici, di 36 negativi presenti nel rullino, andava di lusso se uscivano una o due foto.
Non poteva andare avanti così, dovevo capire. Iniziai a comprare tutte le riviste di fotografia che uscivano in edicola, concentrandomi sulle lettere dei lettori che inviavano foto “sbagliate” per capire dove fosse l’errore.
Questo fu il primo passo, non imparare cioè a fotografare ma imparare a non fare gli errori che avevano fatto altri.
Devo anche dire che le nostre domeniche fotografiche non erano da un rullino e via, ne scattavo anche tre o quattro da 36 pose ciascuno.
Basta fare due conti per capire che tra rullini, costo delle stampe e riviste settimanali, lo stipendio riceveva colpi durissimi che però mia moglie non faceva pesare, anzi era la mia più agguerrita sostenitrice.
Però i soldi se ne andavano comunque con grande facilità, quindi decisi che, o lo avrei trasformato in un lavoro, o avrei smesso.
Indovina che ho fatto?
Nel 1980, sempre passeggiando per le vie di Roma, vedo affissa su un muro una piccola locandina, tipo ciclostile, che pubblicizzava un corso di fotografia, lo tenevano in una libreria di Roma che non esiste più: La Vecchia Talpa. Mi iscrissi e, a pensarci oggi, fu la cosa più importante per le basi di quella che sarebbe diventata professione di fotografo.
Per la verità di corso di fotografia aveva ben poco. Ogni sera veniva un fotografo già affermato e raccontava la sua esperienza. Solo un paio di questi si addentrarono in questioni tecniche delle quali compresi comunque poco.
Tra coloro invece che si raccontavano, ci fu anche Tazio Secchiaroli, a me completamente sconosciuto fino a quel momento, considerato uno dei più importanti reporter italiani e fotografo di scena di Federico Fellini. Per intenderci, le foto di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi le fece lui e, sembra, furono anche le foto che ispirarono Federico Fellini per il film “La Dolce Vita”.
Fui affascinato da quello che raccontava al punto che martellai di telefonate la libreria per avere un suo contatto.
Dopo due settimane di stalking incessante, un paio di libri su Secchiaroli che intanto avevo comprato e letto, dai quali avevo finalmente appreso quale “mostro” avevo avuto l’onore di ascoltare, stremati o mossi a pietà, ottenni il suo numero dalla libreria, con la raccomandazione di non dire che erano stati loro a darmelo.
Tazio Secchiaroli non parlava di fotografia ma di filosofia applicata alla fotografia, dai suoi racconti mi resi conto che la fotografia aveva un rovescio della medaglia e questo rovescio mi affascinava molto di più di quel poco che sapevo in merito a diaframmi, tempi e pellicole.
Lo chiamai e lui fu molto gentile, mi invitò a casa sua e quel primo pomeriggio gettammo le basi per una lunga frequentazione.
Uno dei motivi di questa sua simpatia nei miei confronti stava nel fatto che lui da giovane aveva fatto il manovale in un paese vicino al mio e sapere che facevo il muratore, lo aveva fatto tornare indietro negli anni.
Le lunghe chiacchierate, che di tecnica avevano ben poco, mi lasciavano sospeso in aria. La cosa che più mi affascinava era la filosofia che c’era dietro la sua scelta professionale.
“Vedi” diceva, “gli altri fotografi di scena si mettono dietro la macchina da presa e fotografano quello che avviene sul set. Io, che nasco come reporter, mi metto invece dalla parte del set e fotografo quello che avviene dietro la macchina da presa”.
Era stato, in qualche modo, il precursore dei reality.
Inutile aggiungere che genere di foto ho visto a casa sua: le sfogliava raccontandomi, per ogni foto, aneddoti sullo scatto e sui personaggi fotografati. Erano quasi tutte fotografie di reportage: espressioni, atteggiamenti e curisità di grandi attori e di un grande regista catturati in momenti di spontaneità e relax.
Nel frattempo avevo iniziato a sperimentare le poche nozioni tecniche ricevute da quel primo corso e, aiutato anche dalle riviste, era arrivata anche una certa padronanza della fotocamera. Decisi così di buttarmi ed andare in Irpinia per fotografare la ricostruzione ad un anno dal terremoto.
Fu lui a darmi i consigli per questo mio primo lavoro e fu sempre lui a selezionare le foto per la mostra a riguardo.
Un anno dopo le conoscenze tecniche iniziavano a diventare strette, decisi così di frequentare un altro corso, più specifico, che mi permise di mettere, finlmente, in ordine tutte le nozioni sparse e scollegate che avevo in testa.
Dopo quel corso, grazie anche ad un amico gallerista, iniziai a collaborare con molti artisti per la realizzazione di foto destinate ai loro cataloghi.
Facevo però ancora il muratore e fotografavo la sera a casa o, se le opere erano troppo grandi, andavo nei loro studi la domenica.
Il 1986 segnò la fine della mia professione di muratore e l’inizio di quella di fotografo.
Ti ringrazio per avermi letto fin qui, i lavori delle mie ricerche puoi trovarli sul mio sito, se invece vuoi continuare a leggere, niente paura, da qui in poi sarò più sintetico.
Durante i primi anni ho continuato a fotografare per i cataloghi d’arte.
Nel 1990 ho aperto uno studio di fotografia pubblicitaria che ho mantenuto attivo fino al 2022.
Gli anni della fotografia pubblicitaria sono stati molto importanti perchè avere a dosposizione uno studio mi permetteva di sperimentare nuove soluzioni. Il filo conduttore di tutto quello che fotografavo era sempre legato al concetto di Anima delle Cose: barattoli di vernice, orologi, pennelli o pacchi di pasta… non li fotografavo mai come qualcosa di inanimato, cercavo sempre di renderli “vivi”.
Nel 1997 approdo al digitale, in questo rivendico l’essere stato un pioniere di questo “cambiamento”. Il primo acquisto importante fu un dorso digitale Dicomed da 130 MegaPixel, se pensiamo che oggi le ammiraglie dei vari marchi non arrivano a 50. Costava quasi come un appartamento ma si è “ripagato da solo” in un paio di anni.
Nel 2003 iniziano a prendere forma i concetti di Stile di Vista, Calligrafia Fotografica e Fotografia Percettiva, anche se fino al 2006 non li chiamavo così, anzi, non avevano proprio un nome, con loro prende vita anche la prima collezione fotografica bastata su Stile di Vista e Calligrafia Fotografica: Pepperlife, alla quale seguiranno negli anni tutte le altre che puoi trovare sul mio sito, oltre ad un paio che non ho mai pubblicato.
Il 2006 è anche l’anno in cui creo un format didattico per l’insegnamento di questi concetti.
Nell’aprile del 2011 vengo invitato a presentarli in una conferenza in occasione dell’evento Arte Accessibile Milano, nell’Auditorium de Il Sole 24h.
Questa conferenza da anche il via ad una serie di collaborazioni editoriali.
Bene, avevo promesso di essere sintetico in questa ultima parte e penso di esserci riuscito.
Siti di riferimento: Piero Leonardi – PhTours – Fotografiamo


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